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Giornalismo, anno zero?

C’è qualcosa di nuovo nel mondo dell’informazione. Tradizione e innovazione sembrano in rotta di collisione. Lo sono da quasi 18 anni ed ora gli spazi sono stretti. Lo dicono gli addetti ai lavori un po’ ovunque e lo si legge in tutte le lingue, dall’inglese allo spagnolo, dal francese all’italiano. E proprio in Italia, forse per l’aria di rinnovamento che tira in Parlamento, in  questi giorni, c’è chi alza il tiro del dibattito e propone una rifondazione del giornalismo italiano. In questa scia, Alessandro Rimassa, sull’Huffington Post Italia, propone “gli Stati generali del giornalismo“. Esagera un bel po’, ma intanto attira l’attenzione sul tema e propone un appuntamento preciso: a fine aprile, al prossimo Festival del Giornalismo di Perugia.

Scrive Rimassa: «è essenziale pensare a seri Stati generali del giornalismo italiano. Capire […] perché si dà spazio sempre ai soliti nomi (tanto nella cronaca politica, quanto in quella di società e cultura), perché non si raccontano storie e si preferisce giocare tutto sulla polemica e le non notizie. Capire anche perché si parla solo di crisi, disoccupazione e spread e non si sanno raccontare il cambiamento, le storie di successo, le persone che segnano differenza e guidano l’innovazione. Il giornalismo italiano, quello dei grandi giornali e telegiornali, è follower della politica, che già di per sé è pessimo follower della società vera. […]

Gli Stati generali del giornalismo italiano «non possono e non devono essere la solita sfilata dei De Bortoli, Mauro, Napoletano, Feltri, Mimum, Vespa, Floris o tutt’al più Calabresi. No, grazie: loro sono i Bersani e i Berlusconi del giornalismo. Loro sono quelli che il social journalism non sanno nemmeno che sia, che gli user generated contents non li hanno mai sfruttati, che alle storie di strada preferiscono i giochi di palazzo.

Loro sono quelli del giornalismo top-down, delle notizie che cadono dall’alto e vanno imposte al lettore. In un modello di società che si sta evolvendo in senso orizzontale e bottom-up, in cui la condivisione non è più soltanto una parola ma sta diventando un metodo, loro sono quelli da escludere: non per cattiveria, ma per manifesta incapacità. […]  Il punto è che nei grandi giornali e telegiornali poi non basta nemmeno sostituire il direttore, laddove gran parte delle redazioni è composta da giornalisti che il senso del mestiere lo hanno sotterrato sotto l’inerzia, l’abitudine, l’abbandono degli ideali.

Chiudo con una invitata d’eccellenza, Arianna Ciccone, ideatrice del Festival del Giornalismo di Perugia: a lei, che da diversi anni mette insieme un evento eccezionale (quest’anno dal 24 al 28 aprile), lancio l’idea di realizzarli davvero questi Stati generali del giornalismo e co-costruire il libro bianco del nuovo giornalismo italiano. Il nostro Paese ha bisogno di una informazione migliore, se la merita!»

Dall’Huffington Post Italia “Stati generali del giornalismo: fuori tutti i grandi direttori“.

A c. Giuseppina Fabbri & staff (Claudio Torrella)

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