Quali sono le regole e le strategie migliori per farsi pubblicare un articolo? E per collaborare con un giornale? Ecco 23 consigli, direttamente da direttori e redattori.
La mia esplorazione sulle opportunità di pubblicazione per un “giornalista emergente” inizia con la Guida alla pubblicazione giornalistica” e prosegue online con Federico Ferrazza, direttore di Wired, che sul suo sito scrive: «oggi i giornali non si potrebbero fare senza collaboratori. Se guardo al lavoro di Wired, la maggior parte degli articoli, soprattutto sul sito, è realizzata da un’ottima rete di professionisti che ogni giorno si fa venire delle buone idee, propone pezzi e li scrive. Però, come in tutte le cose, si può migliorare. Da parte di chi è dentro le redazioni, bisogna trovare il modo di saper ascoltare di più. Spesso è molto difficile, presi, se non travolti, dalla quotidianità. Ma anche chi è fuori, il collaboratore, deve comprendere al meglio le dinamiche dello staff del giornale e le ragioni per le quali si prendono delle decisioni di fronte a delle proposte. Per questo ho stilato una breve lista di consigli per chi vuole collaborare con un giornale. La lista vale soprattutto per i quotidiani e i siti di news aggiornati tutti i giorni.
1. Dove ho visto quel pezzo?
Non proporre un articolo che hai già scritto identico per un altro giornale. Neanche simile. In un’epoca di tanta informazione, ogni testata si deve differenziare.
2. Fammi vedere che ci conosci
Per i quotidiani online è molto semplice, e gratuito. Prima di fare una proposta, soprattutto se sei nuovo/a, fatti un giro sul sito, usando anche il motore di ricerca. Chi riceve una proposta è ben disposto se dall’altra parte c’è qualcuno/a che lo ha studiato.
3. Dammi un titolo
Non mi piacciono i “vecchi” insegnamenti di giornalismo. Ma ce n’è uno che funziona: se un articolo non ha un titolo, non è un articolo. Vale anche per una proposta. In più: non obbligare un redattore a leggere 30 righe per capire quello di cui si sta parlando. Va bene la proposta documentata, ma devi dirmi subito di cosa vuoi parlare.
4. Una banalità, ma è bene ricordarla
Siamo online (o usciamo tutti i giorni): non propormi pezzi di cronaca di cose successe la settimana scorsa.
5. Non basta un comunicato stampa per proporre un pezzo
Di comunicati stampa ne arrivano a migliaia in redazione, ogni giorno. Molti di più di quelli che un collaboratore potrebbe ricevere in un mese. Quindi li abbiamo visti tutti e se li abbiamo scartati c’è un motivo.
6. Quel pezzo ce l’abbiamo già
Lo so, l’articolo che hai in mente ti sembra migliore di quello che abbiamo pubblicato. Ma non si possono pubblicare pezzi simili. E non provare a convincermi che è sensibilmente diverso: 9 volte su 10 non lo è.
7. Specializzati, ma non troppo
Se la tua ambizione è fare il tuttologo, non avrai molto spazio. In redazione abbiamo bisogno di certezze in ambiti specifici. Se fai tutto (anche se bene) rischi di essere superato/a quasi sempre da altri collaboratori. Ovviamente non ti specializzare nelle “startup della provincia di Mantova” (esempio), comprenderai che non ne scriveremo tutti i giorni.
8. Hai i numeri?
Collaboratore: “Vuoi un’intervista a Donald Trump sulla sua visione su cybersicurezza e privacy?”.
Redazione: “Certo, ottimo, vai”.
C: “Hai i numeri? Così lo chiamo anche oggi”.
R: “…”.
È un dialogo inventato, ma ispirato a una storia vera. Se mi proponi un’intervista, do per scontato che tu possa arrivare in autonomia all’intervistato.
9. Le redazioni non sono call center
Lo so che dopo che hai inviato una proposta, non vedi l’ora che ti si risponda subito e positivamente. Ho passato diversi anni dall’altra parte e so cosa si prova. Ma le redazioni non sono call center e non puoi aspettarti una immediata risposta. Abbiamo riunioni di redazione, punti con il marketing, ferie da fare, altre proposte da valutare, pezzi da scrivere. Se non rispondiamo subito, insomma, c’è un motivo. Se è molto urgente, ma solo in quel caso, attiva una procedura d’urgenza. Di solito basta una telefonata.
10. Usare contemporaneamente tutti i canali non è una buona idea
Se mi mandi una proposta contemporaneamente via mail, sms, Facebook, Twitter, WhatsApp, Telegram, WeChat, Snapchat, non avrai maggiore attenzione. Anzi.
11. Se non rispondo, c’è semplicemente un motivo
Mi chiami dal cellulare, non rispondo. Mi chiami 1, 2, 3, 4 volte, non rispondo. Allora mi chiami dal fisso per cambiare numero. Se non rispondo, c’è un motivo e non è legato a te, è che sono impegnato. Non insistere: vale anche (e in alcuni casi soprattutto), per gli uffici stampa.
12. Link
Una proposta non è una buona proposta se ci sono 25 link da aprire e in particolare che se questi link rimandano a giornali concorrenti al mio. Di solito vedo quello che succede nella concorrenza. E soprattutto non mi piace copiare quello che fanno gli altri.
13. Sintetico, ma non generico
“Facciamo un pezzo su Facebook” non è una buona proposta, è troppo generica. Devi dirmi cosa vuoi raccontare di Facebook, provando a essere sintetico (ricordati del punto 3).
14. Non scrivere in anticipo un pezzo
Non mandarmi un pezzo già scritto senza che lo abbiamo concordato, rischi di aver perso tempo o di farmi pensare che qualcun altro te l’ha bocciato e che me lo stai riciclando.
15. Prova a passare in redazione
So che è difficile ed è uno sbattimento, soprattutto se abiti in un’altra città. Ma, quando puoi, prova a passare in redazione. Allacciare un rapporto umano più diretto e non basato solo su una mail ti porterà dei vantaggi competitivi. (Ora non è che prendete tutti un appuntamento, eh).
16. Nulla di personale
Se ti boccio una proposta, non pensare che ce l’ho con te. Il mondo è pieno di complotti, in redazione non c’è nessuno che cospira contro una buona proposta.
17. Porta valore
In generale e in conclusione, studia bene la testata, la redazione, i suoi punti forti e i suoi limiti. Concentrati su questi ultimi per migliorare il giornale, portare valore e provare a essere fondamentale e decisivo. Considerando sempre che nessuno, a cominciare da chi ha scritto questa lista, è indispensabile.
Consigli per collaborare con un giornale, da altri sei testate
Dopo questi consigli di Wired, consiglio di leggere le interviste di Cristiano de Majo per Rivista Studio.
De Majo ha chiesto a sei professionisti che, di mestiere, vagliano e approvano proposte giornalistiche: Giovanni Robertini di Rolling Stone, Serena Danna di Vanity Fair, Giuseppe Rizzo di Internazionale, Paola Peduzzi del Foglio e l’ex direttore di IL Christian Rocca.
18. Giovanni Robertini, direttore di Rolling Stone Italia
«Coi collaboratori fissi è più facile, perché c’è stata una scrematura da tutte e due le parti. È raro che ci arrivino proposte ex abrupto, da nessuno luogo. In quel caso, quello che m’interessa è l’oggetto, se chi fa la proposta riesce ad avere accesso a qualcosa o a qualcuno cui noi della redazione non abbiamo accesso. Il taglio, se la cosa parte, possiamo tranquillamente aggiustarlo dopo. Raramente vengono accettate proposte di pezzi di commento. Una cosa che mi fa sorridere è quando qualcuno cerca di vendere come una cosa rara qualcosa che editorialmente non lo è. Tutto il racconto retromaniaco del passato tende a interessarmi poco, lo spiegone su Bob Dylan o sulle 10 migliori canzoni di Bruce Springsteen. Mi interessa invece tutto quello che è notizia, che, per un magazine come noi, significa notizia di cinema, musica eccetera».
C’è un orario giusto? «Nah».
Serve un titolo? «Il titolo deve essere l’oggetto della mail»,.
Serve una bio? «Sì, purché non diventi esegesi sul soggetto».
Servono link ai propri pezzi? «Sì».
Si può proporre lo stesso pezzo a più giornali? «Se stai proponendo qualcosa in contemporanea a qualcun altro, devi dirmelo. È un sano principio di franchezza e di rispetto, inoltre può essere usato come acceleratore».
Si può mandare un pezzo già scritto al posto di un pitch? «Me ne sono arrivati un po’, li ho sempre letti tutti ma non ne ho pubblicato nessuno».
19. Serena Danna, vicedirettrice di Vanity Fair Italia (digital)
«(…) Una cosa importantissima per chi propone è la continuità: l’idea che se ti interessa scrivere un giornale, mandi proposte a quel giornale in modo continuativo. Per chi sta al desk, è anche un modo di vedere un collaboratore come disponibile e affidabile. Sai che lui (o lei) c’è. A me interessa fare nascere percorsi di collaborazioni, non avere un pezzo a sé stante. Una cosa assolutamente da non fare è mandare proposte di pezzi che sono già usciti sullo stesso giornale, o mandare proposte con refusi: sono due cose che trasmettono subito sciatteria e inaffidabilità. Se un pitch è già stato mandato altrove e respinto, basta essere onesti e dirlo: è un ambiente piccolo e le cose si vengono a sapere comunque. Insomma, è fondamentale conoscere la testata per cui si vuole scrivere: apprezzo molto chi riesce ad azzeccare il taglio e il tono di voce, anche se è una cosa difficile. Infine, direi la concisione: quattro, cinque, massimo sette righe».
C’è un orario giusto? «Sì, ma cambia da giornale a giornale».
Serve un titolo? «È importantissimo, serve a guidare la mia attenzione».
Serve una bio? «Se riesci a riassumere quello che fai in una riga e mezzo, sì».
Servono link ai propri pezzi? «Sì, mi risparmiano la fatica di cercarti su Google».
Si può proporre lo stesso pezzo a più giornali? «Sì, ma solo se si è trasparenti»
Si può mandare un pezzo già scritto al posto di un pitch? «No. A meno che non sia un personal essay».
20. Christian Rocca, ex direttore di IL, ora giornalista freelance
«(…) Non è affatto vero che i giornalisti siano chiusi alle proposte esterne. Ci possono essere dei blocchi di natura contrattuale, retributiva o sindacale, ma se il tuo compito è riempire un giornale, non puoi che essere felice quando c’è qualcuno che ti propone un’idea o un’angolatura. Per i quotidiani, ovviamente, valgono regole diverse, ma i giornali di idee, come IL o Studio, vivono delle proposte. Una cosa che ho notato, specie tra i freelance più giovani, è che mandano proposte da cui si intuisce che non conoscono la testata: per esempio, se io faccio un pezzo che dice che le serie sono una figata, non ha senso mandarmi un pezzo che dice che le serie fanno schifo. È come mandare un articolo di geopolitica alla Gazzetta dello Sport: magari è bellissimo, ma cosa c’entra con la Gazzetta?»
C’è un orario giusto? «Dipende dal giornale».
Serve un titolo? «No, è l’idea che conta, al titolo ci penso io».
Serve una bio? «No, posso cercarmela su Google».
Servono link ai propri pezzi? «No, posso cercarmeli su Google».
Si può proporre lo stesso pezzo a più giornali? «Sì, ma meglio non contemporaneamente».
Si può mandare un pezzo già scritto al posto di un pitch? «Dipende. Con qualche collaboratore mi è capitato ed ha funzionato».
21. Giuseppe Rizzo, redattore Internazionale (commissiona ed edita i longform per il sito)
«Sul sito di Internazionale pubblichiamo un longform alla settimana, cioè un pezzo dalle 15mila battute in su, che può essere un’inchiesta, un reportage o un approfondimento, e generalmente è scritto da un freelance. Poi ci sono l’attualità seguita da Annalisa Camilli, i pezzi più brevi – commenti, analisi, rubriche – scritti dai collaboratori fissi e dai columnist stranieri, e i video. Io da un anno mi occupo dei longform: in alcuni casi nascono da proposte mandate dai freelance, in altri siamo noi ad assegnarli. Rispondiamo a tutti, e rispondiamo in tempi relativamente brevi: per noi è importante capire come scrive un freelance, dunque nel caso di prime collaborazioni possiamo chiedere di leggere un pezzo prima di decidere se pubblicarlo o meno. Presentarsi bene è importante, ma, da quel che vedo, è una cosa che la maggior parte dei freelance già sa fare: mi arrivano mail molto chiare e concise che dicono “Sono Tizio e Caio, ho scritto sul giornale X di questo argomento e ora vorrei scrivere per voi su quest’altro”, cioè quello che io ho bisogno di sapere».
C’è un orario giusto? «No. Se una mail arriva fuori dall’orario di lavoro, la leggo, ma rispondo quando sono al lavoro».
Serve un titolo? «Se pensato bene, è molto utile, ma non necessario. Il titolo può essere una buona sintesi».
Serve una bio? «Se collabori con qualche giornale, mi interessa saperlo».
Servono link ai propri pezzi? «Sì, cerchiamo sempre di leggere gli articoli che un autore ha scritto in passato».
Si può proporre lo stesso pezzo a più giornali? «Non contemporaneamente. Credo sia controproducente per lo stesso autore farlo».
Si può mandare un pezzo già scritto al posto di un pitch? «Per noi, è un sì. Specie per chi è alle prime armi, può essere una buona strategia».
22. Paola Peduzzi, responsabile esteri del Foglio
«Il bello del Foglio è che non ha molte barriere d’entrata. Io stessa ho iniziato a collaborare con la redazione perché ho mandato un pezzo al buio: ti dico solo che il pezzo era su Howard Dean, dunque era davvero la preistoria. Dal 2010 gestisco gli esteri, insieme a Daniele Raineri. I collaboratori sono l’anima di questo giornale ed essendo un giornale piccolo, quello che vince è l’idea. Non m’interessa se scrivi sul Manifesto o da un’altra parte: se mi piace la tua idea, mi piace la tua idea. Cerco sempre di avere un rapporto diretto, di discuterne a voce e se possibile, cioè se un un collaboratore sta a Milano, di incontrarlo di persona».
C’è un orario giusto? «Se è un pezzo senza tempo, no. Se è un pezzo di giornata, prima della riunione, che è alle 11»
Serve un titolo? «Certo! Attira la mia attenzione ed è la dimostrazione che hai un pezzo chiaro in testa»
Serve una bio? «Non è necessaria».
Servono link ai propri pezzi? «Non sono necessarie, però se non me li mandi tu i tuoi pezzi vado a cercarmeli io».
Si può proporre stesso pezzo a più giornali? «Se rifiuto un pezzo e dopo un collaboratore lo piazza da un’altra parte sono solo contenta per lui»
Si può mandare un pezzo già scritto al posto di un pitch? «Io li preferisco».
23. Cristiano de Majo, caporedattore di Studio
«Studioè un sito e una rivista con un tono di voce e un punto di vista “identitario”, è difficile che vadano bene per noi proposte che potrebbero andare bene per altri. La maggior parte delle proposte sono di taglio letterario (ed è proprio il campo in cui siamo più pieni). Al secondo posto ci sono i reportage, anche dall’estero, che dimostrano un po’ la non conoscenza di quello che facciamo, specie sul sito. Mi piacerebbe molto ricevere proposte di giornalisti politici giovani e interessanti (non ne riceviamo nessuna) o di lifestyle “intelligente” (qualche volte le riceviamo), ma lì il problema è che il livello della scrittura è sempre al di sotto delle nostre aspettative. Nella maggior parte dei casi chi scrive di lifestyle è educato alla banalità e alla cattiva scrittura. (…) Certe volte è anche proprio difficile capire la logica di questi freelance che nel giro di una settimana piazzano un pezzo qui, un pezzo lì e il terzo da un’altra parte ancora. Spalmare la propria firma ovunque è un po’ un suicidio. Non è una strategia vincente. Io consiglio di concentrarsi su tre cose al massimo, meglio se non in concorrenza tra loro (per esempio, un mensile di carta, un sito, un quotidiano). I giornali devono mantenere un’identità anche se è difficile costruire un rapporto “esclusivo” con i collaboratori con questo modello economico. L’equilibrio sta nel far quadrare i conti mantenendo questa famosa identità».
C’è un orario giusto? «Sì se è una prima proposta. Nel weekend il riposo sta proprio nel non leggere mail se non quelle urgenti, dunque il rischio è che il lunedì ci si dimentichi di quelle ricevute nei giorni prima perché nel frattempo ne sono arrivate altre»
Serve un titolo? «Direi è fondamentale. Tutto si gioca nelle prime due righe. Come in un articolo, come in un libro. Tutto si gioca nella capacità di dimostrare in pochissimo spazio che hai un’idea, sei in grado di scriverla e conosci bene (magari senza dire “vi apprezzo tantissimo”, ma dimostrando di conoscere veramente) il sito/la rivista/il giornale a cui la stai proponendo».
Serve una bio? «Sì se le collaborazioni possono rappresentare un biglietto da visita. No, se scrivi per la Gazzetta di Cantù o per il blog letterario fondato con tuo cugino due mesi prima».
Servono link ai propri pezzi? «È molto raro che apra un link, ma dipende tutto dalla presentazione, se il modo in cui il collaboratore si è presentato fa nascere la curiosità».
A cura di Massimo Casati e staff FirstMaster
Vedi anche il manuale: “Guida alla pubblicazione giornalistica. Dove e come pubblicare articoli giornalistici in Italia e all’estero“