«Occuparsi del linguaggio pubblico e della sua qualità non è un lusso da intellettuali o un esercizio da accademici. È un dovere dell’etica civile».
E’ di Gianrico Carofiglio l’ultimo libro che si occupa di comunicazione politica (Laterza ed.), che parte dalle parole del filosofo John Searle, teorico del rapporto fra linguaggio e realtà istituzionali: «occuparsi del linguaggio pubblico e della sua qualità non è un lusso da intellettuali o una questione accademica. È un dovere cruciale dell’etica civile. Non è possibile pensare con chiarezza se non si è capaci di parlare e scrivere con chiarezza».
Le società vengono costruite e si reggono essenzialmente su una premessa linguistica: sul fatto cioè che dire qualcosa comporti un impegno di verità e di correttezza nei confronti dei destinatari. Non osservare questo impegno mette in pericolo il primario contratto sociale di una comunità, cioè la fiducia in un linguaggio condiviso.
L’antidoto è la scrittura civile, cioè quella limpida e democratica, rispettosa delle parole e delle idee. Scrivere bene, in ogni campo, ha un’attinenza diretta con la qualità del ragionamento e del pensiero. Implica chiarezza di idee da parte di chi scrive e produce in chi legge una percezione di onestà.
Ex magistrato e senatore, quindi politico, Carofiglio è stato intervistato per l’occasione da Silvia Truzzi. Ecco alcuni passi dell’intervista di domenica scorsa (FQ, 13/9/15).
Perché ha deciso di fare questo libro?
Per due ragioni, una personale, l’altra civile. La prima nasce dal fastidio, dall’irritazione – qualche volta perfino dal disgusto – per il modo in cui è trattata la lingua dalla comunicazione politica. E quindi per come sono trattati i cittadini: è evidente che la confusione deliberata, l’imprecisione deliberata, l’oscurità deliberata da parte di chi riveste cariche pubbliche – che sia politico o magistrato – non è che un modo per esercitare il proprio potere. Un modo per mantenere i cittadini in una condizione di sudditanza.
L’altra ragione è l’idea che occuparsi di come parla il potere non è solo affascinante o divertente. Ha a che vedere con l’etica civile perché, in questo campo più che in altri, non c’è separazione fra contenente e contenuto. Forma e sostanza coincidono.
Se il discorso pubblico fosse depurato dalle storture che lei elenca, il rapporto tra cittadini e potere cambierebbe?
In meglio. E migliorerebbe la qualità della politica sia dal punto di vista etico che dal punto di vista della capacità di bilanciare gli interessi contrapposti e dunque di risolvere i problemi.
Il ruolo dei giornalisti
Quello che Truzzi e Carofiglio non toccano nell’intervista è il ruolo dei giornalisti, nel ruolo di mediatori della comunicazione. Se i politici barano nella comunicazione, con «confusione deliberata, l’imprecisione deliberata, l’oscurità deliberata», non dovrebbero essere i giornalisti quelli che si attengono ai fatti, per conto dei cittadini? E penso soprattutto a i giornalisti televisivi. Naturalmente sì, ma poi chi gli paga lo stipendio?
Non spetterebbe ai professionisti dell’informazione e dei talk-show in particolare, fare chiarezza, invece di fare da megafono? Naturalmente sì, ma sarebbe un altro mondo.
Filippo Ciano & FM
Link Laterza – ebook (9.90).