Specializzarsi o localizzarsi. Era l’indicazione di un Report della Kennedy School of Government di Harvard (nella foto), sulla “creazione di valore” nel giornalismo, già nel 2006.
Perché, spiegava il Report, «dato l’aumento della gamma di fonti di informazione, le maggiori possibilità di accedere a contenuti da ogni luogo e in ogni momento e le esigenze di creare forti legami che portano a lettori fedeli, l’editoria giornalistica dovrà allontanarsi da quel prodotto informativo sfocato, quel un qualcosa-per-tutti, in stile taglia unica, tipico della seconda metà del ventesimo secolo».
Insomma, il Report registrava il declino del modello generalista, necessario per il giornalismo stampato, ma inefficiente al tempo di Internet.
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Siti di nicchia e giornalismo locale e iperlocale
E di questo si occupa il terzo capitolo di “The Story so far”, che Lsdi pubblica oggi, in traduzione.
Gli autori partono dal ridimensionamento di un grosso sito a vocazione locale come TBD per far emergere uno dei nodi più complessi della transizione al giornalismo digitale: la sproporzione di fondo tra i costi di produzione dell’informazione locale e i ricavi limitati dal basso peso quantitativo del pubblico potenziale e dal basso livello dei prezzi delle inserzioni. Una situazione che altre iniziative stanno cercando di affontare mettendo a punto strategie più mirate. Che però ancora non hanno messo a fuoco un modello consolidato.
Link al capitolo “Giornalismo digitale. Piccolo è bello ma quanto è difficile avere successo“
Articoli precedenti collegati (traduzioni):
Giornalismo digitale: innovazioni e paradossi di una ‘’rivoluzione’’ ancora in cerca di un modello economico/1
Giornalismo digitale, l’ illusione dei grandi numeri (Innovazioni e paradossi di una ‘’rivoluzione’’ ancora in cerca di un modello economico/2)
A.N. & staff