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Severgnini, sul futuro dei quotidiani

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«Chi leggerà i quotidiani nel 2027?» si chiede Beppe Servergnini dalla colonne del Corriere, e allunga lo sguardo oltre oceano per vedere il futuro.

Scrive: «i grandi quotidiani americani sono usciti dalla palude che sembrava volerli inghiottire. Nel primo trimestre 2017 il numero di abbonati digitali del New York Times è cresciuto di 308.000 unità, il maggior incremento trimestrale di sempre. Il totale degli abbonati è oggi 2,3 milioni. Da quattro anni scrivo per quel giornale come contributing opinion writer, e ho trascorso una giornata con i colleghi nel New York Times Building sulla 42esima strada. L’umore è buono: l’obiettivo dei 3 milioni di abbonati digitali, dicono, è a portata di mano. L’amministratore delegato Mark Thompson, la scorsa estate, è andato oltre: «Puntiamo a 10 milioni di abbonati nel mondo. Ce la possiamo fare. Gente istruita, che sa l’inglese, ce n’è».
Al The Washington Post «gli abbonamenti digitali, dall’inizio del 2017, sono raddoppiati, e sono triplicati rispetto a un anno fa. Il numero esatto non si conosce, ma la soglia di un milione è stata superata da mesi. Se la tendenza venisse confermata, i due grandi quotidiani Usa potrebbero fare a meno della pubblicità (…) è probabile che a trainare il carro dell’informazione quotidiana saranno le edizioni digitali. (…)

Per vedere il futuro, Severgnini allunga lo sguardo anche al passato: «nel 1917 i giornali non avevano rivali. Le notizie di quell’anno – una guerra che finiva, una rivoluzione che iniziava, la terribile influenza spagnola – passavano per la carta stampata. Nel 1937 c’era la concorrenza della radio. Ma non cambiava molto: i quotidiani, in Italia, rimanevano fondamentali. Non a caso, il regime fascista li teneva sotto controllo. Nel 1957 c’era la televisione pubblica, e l’impatto è stato notevole: Indro Montanelli (Corriere della Sera) era influente, ma Mike Bongiorno (Lascia o Raddoppia?) era più celebre. Nel 1987 c’era la televisione privata, con i suoi programmi e i suoi telegiornali, e qualcosa nel mondo dei quotidiani ha cominciato a scricchiolare. Allearsi con la TV o ignorarla? Nel 1997 c’erano i cellulari e i primi collegamenti internet (doppino telefonico, modem sfrigolante). Nuovi strumenti rosicchiavano il nostro tempo. Nel 2007 c’erano i social e il 3G (banda larga mobile). Iniziava l’Età della Condivisione e dell’Esagerazione. Nel 2017 l’abbiamo capito: nella battaglia quotidiana per l’attenzione, i giornali combattono con il fioretto, Facebook e Google usano i carri armati. Questa brevissima storia dell’informazione – cent’anni passano in fretta – fornisce un’attenuante: era inevitabile che i quotidiani incontrassero difficoltà.» 

Infine, una conclusione: «per resistere e reagire – altre industrie hanno conosciuto momenti difficili e li hanno superati – dobbiamo essere onesti con noi stessi, non farci illusioni e rispondere a una domanda. Questa: perché qualcuno, nel 2027, dovrebbe leggere un quotidiano? Quale sarà la motivazione all’acquisto? La risposta è semplice: l’utilità. I quotidiani resisteranno se troveranno il modo di rendersi utili. Se la gente attribuirà loro un valore. Utile è un aggettivo vasto, e ne comprende altri. Si può diventare utili coinvolgendo, spiegando, anticipando, avvertendo, rassicurando, sintetizzando, illustrando, consolando, sorprendendo; anche divertendo, emozionando e insegnando (…). Se ne saremo capaci, i quotidiani vivranno a lungo e chissà: forse li aspetta una nuova, brillante stagione. Se non ne saremo capaci, diventeranno comparse; e se ne andranno, uno dopo l’altro. Non sarà l’apocalisse dell’informazione: sarà la fine di un modo di organizzarla e distribuirla. Ma non accadrà. Ancora una volta, ce la faremo.»
Recensione a cura di Mario Giordani e staff FirstMaster
Fonte: “Chi leggerà i giornali nel 2027?”, 19/11/2017

 

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